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Reale e virtuale
Tomás Maldonado
1992
Similarità e realismo
Nel lungo e articolato percorso intellettuale di Tomás Maldonado, Reale e virtualecostituisce una importante pietra miliare che sistematizza lo sforzo conoscitivo portato avanti attraverso numerosi articoli, comparsi su Alfabetae su Rassegna, includendo altresì le considerazioni svolte in Avanguardia e razionalità, con la finalità di tracciare un ulteriore filone di ricerca transdisciplinare sentito come necessario all’interno del dibattito contemporaneo sul rapporto tra arte e scienza.
Più specificatamente, Maldonado ha sempre sostenuto una visione sinottica della conoscenza, quasi come se fosse immerso nell’illimitata e periodica biblioteca di Jorge Luis Borges, muovendosi nei tortuosi territori di confine tra saperi differenti e, anzi, tentando di forzare proprio quei punti di contatto tra plurime discipline attestatesi come autonome nel corso della modernità. Nell’intervista di Hans Ulrich Obrist a Maldonado svoltasi nel 2009 viene chiarita questa posizione culturale, ove lo stesso Maldonado rileva come nel mondo contemporaneo sia possibile riscontrare la tendenza sempre più crescente a riconoscere nel lavoro intellettuale due linee possibili, quella dello specialista, paragonato ad uno speleologo, e quella del non-specialista, paragonato, invece, a un giramondo, votato ovvero a una conoscenza universalista e interdisciplinare[1].
Il saggio non a caso viene pubblicato alla fine del secolo breve (1992) costituendo un fulgido esempio di trattato moderno, rivolto alla sistematizzazione critica delle posizioni culturali autorevoli e condivise nonché alla ricerca dei nessi che riguardano più saperi, difatti viene dichiarata fin dalle prime pagine la triade disciplinare attorno cui si articola il discorso: filosofia-epistemologia, comunicazione e culturale materiale. L’oggetto del saggio riguarda l’esplorazione del rapporto tra realtà e virtualità, quest’ultima intesa come campo applicativo con cui si misurano tutte le arti figurative e, ovviamente, le importanti trasformazioni tecnologiche progressivamente sempre più influenti alla fine del Novecento. La realtà, invece, è tratteggiata come quel complesso sistema di interazione tra l’uomo e la materia, condizione preesistente e inemendabile per qualsiasi rappresentazione ideale, a riguardo nel saggio viene richiamata icasticamente la metafora di William Hjortsberg in Gray Matters dei cervelli in una vasca quale esempio di condizione paradossale in cui viene attuata una effettiva dematerializzazione del corpo e del suo ambiente. Intendere dunque il virtuale come termine oppositivo al reale appare un’operazione alquanto deludente sul piano dell’analisi, difatti la graduale dissoluzione della realtà nella fantasmatica e potenzialmente infinita trasfigurazione semiotica che il virtuale impone in verità riduce il problema conoscitivo ad un’impasse tutta fondata sull’antico rapporto tra mente e materia, dove Maldonado piuttosto riconosce il problema della dipendenza tra i due termini, decretando il fraintendimento del concetto di virtuale come «abuso metaforico»[2]. Ed è proprio l’idea di realismo a porsi come fondante per le tecniche rappresentative, per le arti così come per la tecnologia. Difatti la predilezione per una sofisticata e quanto più fedele verosimiglianza tra oggetto reale e suo simulacro virtuale costituisce il tema dominante di una storia che attraversa l’era moderna e che ben testimonia un’ambizione verso la realizzazione di immagini più reali del reale stesso. Nell’excursus storico condotto attraverso le tecniche e gli strumenti emblematici nella ricerca della verosimiglianza, viene principalmente affrontata la corrispondenza tra prospettiva lineare e realtà, individuando come l’effettiva funzionalità di tale strumento sia stata saggiata nel tempo sul piano operativo e non meramente su quello teorico-speculativo, pur dotandosi di apparati normativi e convenzionali che contraddistinguono la prospettiva anche come teoria, marcando la differenza e la fortuna di questa tecnica rispetto ad altre, come la ceroplastica, che riproduce la corposità e spazialità degli oggetti, condizionando lo sviluppo di tecniche successive, come la fotografia, il cinema e la realtà virtuale.
La questione della similarità tra oggetti reali e virtuali viene inoltre indagata attraverso l’agnizione nella linguistica da cui deriva la nozione di iconema[3], che analogamente al fonema o al morfema consente di riconoscere una struttura di senso, un elemento discriminante che elude il principio di realismo come unica via perseguibile per la rappresentazione del reale. Il riconoscimento dell’oggetto assume un ruolo importante nella trattazione contro la dematerializzazione del reale, riscontrabile finanche nella tematica dei nuovi materiali, delle “pelli” in luogo delle superfici, ove si rileva il tentativo di dequalificare la presunta sparizione del peso e delle caratteristiche sensoriali proprie dei materiali. Maldonado non manca di evidenziare anche la natura tecnologica che informa il processo di virtualizzazione del reale, in particolare esplorando l’ampio spettro di questioni che riguardano l’idea di innovazione, quella che Charles Sanders Peirce definisce «un aumento dell’informazione» o scoperta, ovvero di novità situata necessariamente in un contesto, in una rete o classificazione di tipi con cui entra in relazione e da cui riesce a costruire un «possibile itinerario tecnologico».
Segue al tema del brevetto una ulteriore considerazione sul concetto di similarità e sul chiarimento del rapporto tra creatività e conoscenza, ponendo al centro della questione il tema del modello.
Esso viene presentato come strumento rivolto alla visualizzazione di un oggetto, da cui derivano le implicazioni di carattere cognitivo-percettivo e figurativo-operativo che sostanziano le strutture segniche o iconiche replicative dell’oggetto pensato, ossia il modello assume il ruolo di simulacro del progetto, diviene modellazione e in quanto tale è intravista come fenomeno che interessa l’uomo stesso e come potenziale strumento educativo con cui allenare l’intelligenza artificiale. Recensione di Gennaro di Costanzo
[1] Cfr, T. Maldonado, Arte e artefatti, Intervista di Hans Ulrich Obrist, Feltrinelli, Milano 2010.
[2] T. Maldonado, Reale e virtuale, Feltrinelli Milano 2015, p. 12.
[3]Ivi, p. 38.